Margherita Granbassi: «Tra gioie e rinunce, i miei anni in pedana con le migliori»
Photo Credit To YouTube, Margherita Granbassi

Margherita Granbassi: «Tra gioie e rinunce, i miei anni in pedana con le migliori»

La donna che visse tre volte. Almeno per ora. Campionessa sulle pedane, volto giornalistico e televisivo, e da qualche mese mamma di Léonor: per descrivere Margherita Granbassi le categorie e i parametri che in genere si applicano ai campioni dello sport sono del tutto superflui, tali e tante sono state e sono tuttora le esperienze e le carriere che la ex fiorettista triestina ha saputo costruirsi nel tempo, con e senza la maschera di gara. A livello schermistico Margherita, nata nel capoluogo friulano il 1° settembre 1979, è stata fra le grandi protagoniste del fioretto femminile azzurro per tutti gli anni Duemila: al suo attivo vanta infatti 14 medaglie tra Olimpiadi, Mondiali (3 ori, due a squadre e uno individuale) ed Europei e una Coppa del Mondo individuale (2005). mentre lontano dalle pedane nel 2008 ha iniziato la propria carriera come giornalista e volto televisivo, prima come inviata per AnnoZero di Michele Santoro, successivamente come conduttrice e opinionista di diversi programmi non solo a tema sportivo. Già durante la sua carriera è stata ed è tuttora impegnata in molte iniziative a tema sociale, l’ultima ancora il mese scorso nella campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC).

Abbiamo raggiunto Margherita Granbassi alla vigilia della prova Grand Prix di fioretto in programma il prossimo weekend (28 e 29 novembre) al PalaRuffini di Torino, una città che per la sua vita schermistica è stata di importanza fondamentale, nel bene e nel male. Qui si laureò campionessa del Mondo a livello individuale il 1° ottobre 2006, superando in finale con una stoccata maiuscola la migliore di tutti i tempi, Valentina Vezzali, e sempre qui l’ennesimo infortunio al ginocchio della carriera, che la colpì durante i turni di qualificazione del GP di Torino nel marzo 2014, ha messo la parola fine alla sua carriera da atleta.

Margherita, siamo a un anno dal tuo ritiro e a pochi mesi dalla nascita di Léonor. Più impegnativa la vita da atleta o da mamma?

Quella da mamma, le responsabilità sono sicuramente maggiori!

Ripercorriamo la tua carriera dall’inizio: come è nata la passione per la scherma?

Per imitazione: volevo copiare i miei fratelli maggiori che la praticavano.

Dopo una brillante carriera giovanile, nel 2001 arriva la tua prima medaglia tra gli Assoluti ai Mondiali di Nimes e poco dopo il tuo primo infortunio al ginocchio. Come si convive per tutta una carriera tra grandi gioie e altrettanto grandi problemi fisici?

È dura, ci si deve adattare cambiando il modo di allenarsi e di programmare la stagione. Mi sono trovata spesso costretta a rinunciare a gare importantissime e quindi alla possibilità di vincere altre medaglie. Per anni ho stretto i denti durante gli allenamenti e preso antidolorifici durante le gare. Ho passato troppo tempo in fisioterapia, piscine di riabilitazione e sale operatorie. Però la gioia di essere riuscita ad arrivare in cima nonostante tutto è impagabile. Purtroppo, cosa che per l’atleta è dura da accettare, mi sono dovuta arrendere alla sfortuna.

Raggiungere il vertice del fioretto femminile in Italia significa entrare nel “Dream Team”. Qual è il segreto di tanta longevità? E come si convive con e tra tante campionesse?

Se sei tra le più forti in Italia allora sei tra le più forti del mondo. È così da più di 20 anni e credo che sarà così ancora per un po’: è un circolo virtuoso, la competizione stimola, il lavoro paga, abbiamo avuto una generazione di grandi maestri. Io ho vissuto i migliori anni delle più grandi di sempre, Vezzali e Trillini, e di altre super campionesse come Bianchedi e Bortolozzi, da un lato imparando tantissimo e avendo l’opportunità di migliorarmi incrociando sin da giovanissima le lame con loro, dall’altro sentendomi sempre la piccolina che doveva stare dietro. Per fortuna negli anni sono riuscita a sbloccarmi!    

2006, a Torino ecco il titolo iridato individuale dopo la Coppa del Mondo dell’anno precedente. Pensi sia quello il tuo momento più bello della carriera? 

Indubbiamente. Il quadriennio 2004-2008 è stato il più importante, quello in cui sono prima maturata, qualificandomi per Atene, e poi esplosa, vincendo la Coppa del Mondo e medaglie individuali a Europei, Mondiali ed Olimpiadi. 

Pechino 2008 arriva dopo un altro infortunio, l’Olimpiade porta comunque due medaglie di bronzo. Ripensandoci adesso, è più la soddisfazione per le medaglie olimpiche o forse il rammarico di non aver potuto affrontare la gara al massimo della forma? 

Alle Olimpiadi di Pechino credo di essere arrivata in buonissima forma, vincendo il bronzo individuale, battendo atlete fortissime ed arrendendomi solo ad una Vezzali strepitosa. Il rammarico più grande della mia vita riguarda le gare a squadre: ad Atene eravamo imbattibili e purtroppo, per il turn over, non abbiamo potuto giocarci la medaglia a squadre. A Pechino ci siamo prese il bronzo: siamo state battute dalla Russia all’ultima stoccata, era della Vezzali ma l’arbitro l’ha assegnata all’ incredula Bojko… Lì mi è caduto il mondo addosso e ancora al pensiero di quell’oro olimpico sfumato mi sale una rabbia! 

Dopo quelle Olimpiadi inizia per te un’altra vita, tra le altre cose ti dedichi al giornalismo televisivo. Che cosa significa per un’atleta fare un’esperienza così diversa dalla propria routine? 

È stato importante mettere il naso fuori “casa”. Respirare un’aria diversa ed imparare un lavoro. Purtroppo non si resta atleti per sempre e prepararsi al “dopo” è fondamentale. Nonostante mi fossi preparata, la fine della carriera è stato un momento bruttissimo.

L’ultima fase della tua carriera in pedana ci riporta a Torino, con il crac al ginocchio durante il turno di qualificazione alla prova di Coppa del Mondo nel marzo 2014. A distanza di oltre un anno, qual è il primo pensiero che associ alla tua ultima volta in pedana?

Dolore e delusione: erano tre anni che aspettavo quel momento, tre anni tra sale operatorie, terapie, riabilitazione, sacrifici. La voglia di farcela e la sfida di tornare forte dopo un intervento per cui era giá difficile riprendere a camminare, la scommessa con l’equipe medica, l’inseguire un sogno assieme al mio nuovo maestro ed amico Elvis Gregory… Tutto questo è svanito in un crack. Però è stato tutto bello e da ogni esperienza cerco di prendere la parte positiva!

Quali sono i tuoi progetti per il prossimo futuro?

Ora sono una mamma felice, anche grazie a quell’infortunio e la mia Léonor è favolosa. Per tutta la gravidanza ed in questi suoi primi mesi – ne ha quasi 8 – ho voluto tenermi in disparte e dedicarmi totalmente a lei e un po’ allo studio: sono iscritta alla facoltà di Economia e Politiche dello Sport.  Presto mi rimetterò in gioco anche sul lavoro, sapendo però che il tempo da dedicare a mia figlia e la sua crescita sono le cose che più mi stanno a cuore. 

Ripensando ancora un attimo alla tua carriera, due domande finali. Chi è stata l’avversaria più forte, o comunque più difficile da affrontare? E c’è qualche collega con cui si è creato un legame di amicizia al di là dell’essere avversarie in gara?  

La Vezzali della finale olimpica di Pechino la ricordo intoccabile, e in generale come la schermitrice più dura da battere sia dal punto di vista tecnico che psicologico, ma l’unica che non ho mai battuto è la francese Adéline Wuilleme. Sono tendenzialmente una persona socievole, vado d’accordo con tutti, ed ho avuto buonissimi rapporti con compagne di squadra e con le straniere, ma certi legami ti danno di più: ho avuto amiche speciali anche tra le avversarie, in particolare Ilaria Salvatori, mia coetanea e compagna di stanza storica, Diana Bianchedi, che mi ha seguita come medico sportivo, Benedetta Durando che come me si era trasferita prima a Terni e poi a Roma per la scherma e Gioia Marzocca, passata poi alla sciabola.

 

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